Il concetto di Intelligenza Emotiva fu introdotto da Salovey e Mayer (1990) per descrivere “la capacità che hanno gli individui di monitorare le sensazioni proprie e quelle degli altri discriminando tra i vari tipi di emozioni e usando questa informazione per incanalare pensieri e azioni” (Petrides, Sevdalis, 2009) .
In seguito Salovey e Mayer (1997)
estesero la definizione includendo anche la capacità di percepire le emozioni, confrontare
emozioni e sensazioni, capire le
informazioni che derivano da queste emozioni ed essere in grado di maneggiarle (Mayer, Salovay e Caruso, 2004).
Il termine fu reso popolare da Goleman
(1996) mediante la pubblicazione del suo libro “Intelligenza Emotiva” il quale
descrive tale costrutto come un insieme di competenze
o caratteristiche che sono fondamentali per affrontare con successo la
vita: autocontrollo, entusiasmo, perseveranza e capacità di auto motivarsi.
L’Intelligenza Emotiva può essere
definita anche come “la capacità di sfruttare le nostre risorse mentali
superiori attraverso la gestione della propria emotività” (Rossi, 2006).
Sebbene abbia solo da pochi anni conquistato l’interesse del pubblico,
il costrutto è stato elaborato nella letteratura scientifica circa venti anni
fa da Salovey e Mayer e deriva dai precedenti concetti di:
a) intelligenza sociale proposta da Thorndyke (1920), il quale aveva notato che questa rappresentava un valore all’interno delle relazioni e interazioni umane, concludendo che l'intelligenza sociale era discreta nelle capacità accademiche ed era invece la chiave del successo negli aspetti pratici della vita (McQueen, 2004);
b) intelligenza interpersonale di Gardner (1983; cit. in Rossi,
2006).
Nella sua fondamentale definizione dell’Intelligenza Emotiva, Salovey
include le intelligenze personali di Gardner, estendendo queste abilità a
cinque ambiti principali:
- conoscenza delle
proprie emozioni;
- controllo delle emozioni;
- motivazione di se
stessi;
- riconoscimento delle
emozioni altrui;
- utilizzare le
competenze sociali nell’interazione con gli altri.
Per quanto riguarda il Conoscere le proprie emozioni Goleman
(1996) lo definisce come lo stato di consapevolezza di sé che rende la persona
in grado di riconoscere le emozioni quando queste sorgono.
Secondo l’autore questa capacità è una delle basi dell’Intelligenza Emotiva
perché l’abilità di identificare e monitorare le proprie emozioni incrementa il
livello di autoconsapevolezza dell’individuo e l’abilità di controllare e
monitorare la propria vita.
Questa consapevolezza permette all’individuo di compiere scelte
consapevoli di fronte agli eventi di maggiore, ma anche minore, importanza
della vita.
In riferimento al controllare le proprie emozioni Goleman (1995)
definisce quest’abilità come significativa per accrescere il livello di
consapevolezza di sé; essa è vista come la capacità di tollerare gli eventi
positivi e negativi della nostra vita in maniera bilanciata; è una
caratteristica fondamentale per la stabilità e per il benessere.
Motivare se stessi, può essere visto come la
spinta che l’individuo si dà per raggiungere un certo obiettivo.
Goleman (1996) associa la motivazione a un flusso che può essere
rappresentato come uno stato di dimenticanza del sé dove le emozioni creano
un’esperienza ottimale nel raggiungimento dello scopo.
Durante questo stato di flusso le emozioni sono positive e sono
presenti sensazioni di armonia e gioia.
Questo livello di emozione porta al successo perché l’individuo non si
focalizza sull’azione ma piuttosto sul piacere dell’atto.
Riconoscere le
emozioni negli altri è una delle abilità sociali più importanti che accresce le capacità
empatiche e le competenze sociali.
L’ultimo punto, utilizzare le competenze sociali nell’interazione
con gli altri (o gestione delle relazioni), l’arte delle relazioni
consiste in larga misura nella capacità di dominare le emozioni altrui. Si
tratta di abilità che aumentano la popolarità, la leadership e l’efficacia
nelle relazioni interpersonali.
Secondo Goleman (1996) chi eccelle in queste abilità riesce bene in
tutti i campi nei quali è necessario interagire in modo disinvolto con gli
altri.
Mayer (1993) ritiene che le persone siano classificabili in diverse
categorie in conformità a come percepiscono e gestiscono le proprie emozioni:
- Gli auto consapevoli: consapevoli dei
propri stati d’animo nel momento stesso in cui essi si presentano, queste
persone sono alquanto sofisticate riguardo alla propria vita emotiva.
La loro chiara visione delle proprie emozioni può rafforzare altri
aspetti della personalità: si tratta di individui autonomi e sicuri dei propri
limiti, che hanno una buona salute psicologica e tendono a vedere la vita da
una prospettiva positiva.
Quando sono di cattivo umore, costoro non continuano a rimuginare e ad
ossessionarsi, e riescono a liberarsi dello stato d’animo negativo prima degli
altri.
In breve il loro essere attenti alla propria vita interiore li aiuta a
controllare le emozioni.
- I sopraffatti. Si tratta di persone spesso sommerse
dalle proprie emozioni e incapaci di sfuggir loro, come se nella loro
mente esse avessero preso il sopravvento.
Essendo dei tipi volubili e non pienamente consapevoli dei propri
sentimenti, questi individui si perdono in essi invece di considerarli con un
minimo di distacco.
Di conseguenza, rendendosi conto di non aver alcun controllo sulla
propria vita emotiva, costoro fanno ben poco per sfuggire agli stati d’animo
negativi.
Spesso si sentono sopraffatti e incapaci di controllare le proprie
emozioni.
- I rassegnati. Sebbene queste persone abbiano spesso
idee chiare sui propri sentimenti, anch’esse tendono tuttavia ad
accettarli senza cercare di modificarli.
Sembra che in questa categoria rientrino due tipi di soggetti: in primo
luogo quelli che solitamente hanno stati d’animo positivi e perciò sono
scarsamente motivati a modificarli; e in secondo luogo coloro che, nonostante
siano chiaramente consapevoli dei propri stati d’animo, e siano suscettibili a
sentimenti negativi, tuttavia li accettano assumendo un atteggiamento da laissez-faire,
senza cercare di modificarli nonostante la sofferenza che essi comportano, una
situazione che si riscontra ad esempio, nei depressi che si sono rassegnati
alla propria disperazione (Goleman, 1996).
L’importanza dell’Intelligenza Emotiva (IE) si evidenzia in moltissimi
contesti, come quelli organizzativi, clinici, educativi (apprendimento e
successo), così come nelle abilità e competenze intra e interpersonali.
In primis per quanto riguarda la
salute ci sono sempre più prove a sostegno del fatto che questa caratteristica
è associata a una maggiore resistenza sia fisica sia mentale allo stress
(Salovey, Stroud, Woolery ed Epel, 2002).
Il Tratto Intelligenza Emotiva è implicato nel rendimento
accademico e nei comportamenti devianti, con effetti che sono particolarmente
rilevanti per gli studenti vulnerabili; la ricerca suggerisce che la
caratteristica IE è particolarmente rilevante sia per gli studenti svantaggiati
sia per quelli dotati.
Per quanto riguarda gli alunni con un basso quoziente
intellettivo, quelli con punteggi più elevati nel tratto IE mostrano risultati
migliori a scuola e minori comportamenti devianti (assenze ingiustificate,
espulsioni dovute a comportamenti antisociali) rispetto ai loro coetanei con un
tratto inferiore di IE (Petrides et al, 2004). Per quanto riguarda gli alunni
dotati, quelli con una presenza maggiore della caratteristica IE utilizzano
strategie più funzionali per affrontare la loro "diversità" rispetto
a chi presenta un tratto inferiore di IE (Chan, 2003).
Infine, molto è stato detto circa il possibile ruolo dell’Intelligenza
Emotiva nei contesti organizzativi, anche se pochi studi empirici sono stati
effettivamente eseguiti la ricerca suggerisce che la caratteristica IE è
implicata nelle prestazioni lavorative (cfr. Van Rooy e Viswesvaran, 2004) con
un ruolo di moderatore. A livello di gruppo, nell’ambito di uno studio condotto da
Quoidbach e Hansenne (2009) con degli infermieri professionali, il tratto IE è risultato
correlato alle prestazioni del team e alla coesione di gruppo.
Infine, la capacità e la caratteristica IE sono particolarmente
rilevanti per quelle professioni che hanno una componente affettiva, come nel
caso dei service worker che devono
compiere un Emotional Labour[1] (Mikolajczak, Menil e
Luminet, 2007) e nel caso dei manager
(Slaski e Cartwright, 2002).
Tratto da: BURNOUT, INTELLIGENZA EMOTIVA E ALESSITIMIA NEL PERSONALE INFERMIERISTICO:
INDAGINE IN CINQUE REPARTI DELL’OSPEDALE CLINICIZZATO DI CHIETI .
[1] Il concetto di emotional labour, ampiamente trattato
più avanti, si riferisce ad un particolare tipo di lavoro emotivo che gli
impiegati devono attuare per essere coerenti con il tipo di emozioni “
richieste” dallo specifico contesto lavorativo in cui operano.
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