Durante la maggior parte del lungo pellegrinaggio sulla via evolutiva il dolore è, in qualche misura, inevitabile. Esso ha funzioni utili, anzi preziose e necessarie. Tali funzioni sono molteplici; ma ve ne sono quattro principali e particolarmente benefiche.
Nei primi stadi della evoluzione umana — ma in qualche misura anche in quelli successivi — soltanto, o soprattutto, il dolore vale a scuotere l’uomo da un passivo adagiamento, dalle comode “routines”, dalla sua fondamentale pigrizia mentale e morale, dal suo ristretto egocentrismo. Il “buon dolore”, nelle sue numerose e svariate forme, lo induce, lo obbliga a
“svegliarsi”, a suscitare le proprie energie latenti, a volere e a metter in valore i suoi “talenti”.
La seconda funzione benefica del dolore è in un certo senso inversa della prima: è quella di svincolare l’uomo da attaccamenti eccessivi a cose o persone; di affrancarlo dalla schiavitù in cui lo tengono i suoi istinti, le sue passioni, i suoi desideri; di impedirgli di commettere nuovi errori e nuove colpe. Questa è dunque una funzione purificatrice e liberatrice.
La terza funzione del dolore, collegata con la precedente, è quella di indurre l’uomo a disciplinarsi, a dominare le incomposte energie istintive, emotive, mentali che si agitano in lui; a ordinarle ed organizzarle, in modo che esse divengano costruttive e non distruttive; a trasformarle, incanalarle, utilizzarle per attività feconde, e benefiche, per fini elevati ed umanitari. Ciò richiede un’energica e assidua “azione interna”; ma i
mirabili risultati che se ne ottengono compensano ampiamente della fatica. Il possesso di sé, il senso di sicurezza e di potenza nel proprio reame interiore danno profonde e durevoli soddisfazioni. E l’ordine significa armonia e bellezza.
Infine il dolore induce, obbliga al raccoglimento, alla riflessione, alla meditazione.
Esso ha il prezioso e necessario ufficio di richiamarci dalla vita volta all’esterno, dispersa e dissipata, superficiale e materialistica che troppo spesso conduciamo. Il dolore ci scuote, ci fa “rientrare in noi stessi”; arresta la nostra corsa affannosa; ci fa volgere lo sguardo al di dentro e verso l’alto. Così noi cominciamo veramente a pensare, a porre a noi stessi i grandi problemi della vita, a cercar di trovarne la giustificazione, di comprenderne il significato, di intuirne lo scopo e la mèta. Allora cominciamo a creare il silenzio in noi stessi, a “interrogare”, a pregare, a invocare. Allora comincia il colloquio, il “dialogo” interno con un Principio, una Realtà superiore, con la nostra Anima profonda, con Dio.
Riguardo al dolore occorre però fare una riserva e prevenire eventuali esagerazioni.
Il riconoscimento delle preziose funzioni del dolore non deve indurci a
sopravalutarlo, a farne un culto, fino a non tentar di alleviarlo o peggio ad infliggerlo agli
altri (o anche a noi stessi), quando ciò non sia veramente necessario o sicuramente utile.
Si può dire, un po’ paradossalmente, che il dolore ha valore se ed in quanto porta alla
propria eliminazione, al proprio superamento. In altre parole il dolore non è fine a se
stesso, ma un mezzo per produrre certi effetti, per insegnare certe lezioni. Quando esso ha
assolto queste funzioni, possiamo e dobbiamo dirgli “grazie” e poi lasciarlo indietro
risolutamente.
ROBERTO ASSAGIOLI
DAL DOLORE ALLA PACE - ILARIO ASSAGIOLI
http://www.scienze-astratte.it/files/DAL_DOLORE_ALLA_PACE---Ilario-Assagioli.pdf
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